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Le parole e i concetti hanno una loro geografia. Parole identiche possono avere significati diversi, addirittura opposti. Quando viaggiate attenti a pescare e scegliere nel vocabolario. Se siete negli Usa e dite lobby nessuno vi guarderà in cagnesco. Se lo dite in Inghilterra, nessuno si scomporrà. Se lo fate in Italia vedrete cambiare le espressioni nei volti di chi vi ascolta. Perché?

Nel nostro Paese il termine lobby, che in origine si traduceva tribuna, una dei due rami del Parlamento britannico, ha un’accezione non proprio positiva” spiega Paolo Polidori, docente di Scienza delle Finanze. Manca una normativa, c’è poca trasparenza e il lobbying, nella percezione comune, è la difesa di interessi individuali a discapito di interessi collettivi.

Un termine da sdoganare. Se si tratta di misunderstanding l’Università qualcosa può. Ridefinendo il concetto tramite iniziative come la Winter School  Lobbying e rappresentanza degli interessi le cui preiscrizioni saranno aperte sino al 30 agosto 2015. “Ciò che questa scuola sottolinea – spiega il professor Polidori direttore della scuola – è che la rappresentanza degli interessi, anche in assenza di normativa, esiste in ogni caso ed essa diventa incontrollabile quando non è regolata”.

Identikit del lobbista. Ma cosa fa, chi è il lobbista, in quale contesto opera? Cominciamo col dire che l’attività di lobbying è di importazione, nasce infatti negli Stati Uniti. Ora partiamo dall’ultimo degli interrogativi, quello sul contesto; sono tanti i livelli istituzionali di azione: locale, regionale, nazionale, europeo, internazionale. Per essere pratici: “Tempo fa é capitato – racconta Polidori – che certi mobilifici del territorio della nostra provincia si siano trovati in difficoltà nel reperimento del rattan per via del blocco delle esportazioni”. Come aiutare la produzione a ripartire? Col lobbying, ovvio. Attraverso la professionalità di un lobbista tutte le istanze del gruppo imprenditoriale avrebbero raggiunto le istituzioni favorendo soluzioni. Qui trovano risposta anche il primo e il secondo interrogativo, su che cosa sia il lobbista: un professionista, in grado di trattare con le istituzioni, aprirci un dialogo e di rappresentare un interesse. “Il lobbista – integra Polidori – è colui che possiede una conoscenza anzitutto di carattere normativo-istituzionale ma serve anche quella dei contesti sociali (sconsigliato e azzardato fare lobbying per il settore vitivinicolo in un consesso di astemi, ndr), capace di valutare gli aspetti economici (ci sono sempre vincoli di budget), di sapere su cosa è utile lavorare e dove è necessario retrocedere. E’ colui che ha una conoscenza settoriale dell’ambito del quale si occupa”.

Come si diventa lobbysti. Una breve introduzione. “La Winter School – dice il professor Paolo Polidori – intende prima di tutto chiarire che cos’è il lobbying, spiegare che non sta a significare il conflitto fra interessi privati e interessi pubblici, comprendere come questi due possano anzi essere complementari e in qualche caso addirittura sovrapponibili. Deve risultare chiaro che il lobbista, in un Paese che gli da riconoscibilità giuridica, non fa favori ma agisce in completa trasparenza all’interno di una normativa precisa”. In Italia, nonostante vari ddl, questo ancora non avviene perché non c’è una legge. Gli altri step sono sei, più l’ultimo, la tavola rotonda finale. Sei lezioni di professori, consiglieri parlamentari, funzionari del Governo, esperti e professionisti del settore a livello nazionale e internazionale su: 1) profili teorici e ricostruttivi dell’attività di lobbying; 2) istituzioni e i procedimenti decisionali; 3) profili economici; 4) lobbying: gli strumenti 5) lobbying: le attività; 6) comunicazione e media relations; 7) tavola rotonda finale.

La democrazia dei contrappesi. A sottolineare questo particolare aspetto è il professor Massimo Rubechi, vicedirettore della Winter School: “ E’ fondamentale ricordare – dice – che il tema della regolamentazione del lobbying deve essere visto anche sotto il profilo della democraticità del sistema istituzionale nel suo complesso. Rendere trasparente l’attività di rappresentanza degli interessi, anche attraverso l’istituzione di un registro delle lobbies garantisce la  qualità dei processi decisionali poiché rende i decisori pubblici più consapevoli dell’impatto delle loro decisioni e offre ai cittadini la possibilità di conoscere le motivazioni che hanno condotto a prenderle. Un po’ come se le istituzioni democratiche potessero trasformarsi in una casa di vetro: coloro che la abitano devono sapere cosa succede fuori e coloro che sono fuori devono sapere cosa avviene dentro. E chi entra in contatto con l’interno si deve vedere. E deve passare dalla porta, non dalle finestre”.

La sintesi giusta, in tre minuti, tra Italia ed Europa. Secondo i dati diffusi dall’associazione “Il Chiostro” sono 15.000 i lobbisti che gravitano nella sede europea di Bruxelles tra Ong e think tank. In Italia non esistono un registro e tantomeno un codice di condotta, i numeri non si conoscono. Ci sono tuttavia società o gruppi di lobbying  (sindacati, associazioni commerciali ecc.) che non sono riconosciuti dal diritto come tali. Eppure laddove ciò avviene il lobbista, se è tale, svolge anche un ruolo di utilità, rivolgendo l’azione di pressione in maniera tracciabile, affinché i decision makers possano riflettere sulle indicazioni ricevute. Una funzione chiara al presidente J.F. Kennedy: “Il lobbista – sintetizzò una volta – mi fa capire in tre minuti quello che il mio collaboratore mi spiega in tre giorni”.

“Il lobbista – riprende il professor Polidori – si pone a metà tra due interessi, è un’interfaccia, una figura eclettica che conosce i processi istituzionali. Il lobbying è un’attività che si compone di pressione, informazione e preparazione”. Si occupa di public affairs in maniera trasversale. Il lobbista ad esempio vi avrebbe spiegato in soli tre minuti il senso di questo post. Non necessariamente convincendo qualcuno. O magari sì.

 

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