“Scienze amministrative e innovazione nella pubblica amministrazione”. È l’epigrafe del master attivato dalle Università di Urbino e Macerata. Con il professor Matteo Gnes, co-direttore del corso di alta formazione, abbiamo approfondito l’argomento.

Come è organizzato il master e quali aspetti della p.a. affronta?

Al fine di offrire un corso più ricco di contenuti e di sfruttare sinergie e competenze, dopo alcuni anni di informale cooperazione, i consigli scientifici del master in Scienze amministrative dell’Università di Urbino Carlo Bo e del master in innovazione nella pubblica amministrazione dell’Università di Macerata hanno deciso, nella primavera di quest’anno, di istituire un corso comune. Il nuovo master interuniversitario di secondo livello in “Scienze amministrative e innovazione nella pubblica amministrazione – MasterPA” non è però la semplice “fusione” di due iniziative didattiche preesistenti, ma è frutto di una precisa scelta formativa. Il master urbinate, pur aprendo e discutendo le innovazioni, aveva l’obiettivo di fornire o irrobustire le conoscenze di base del diritto e delle scienze amministrative; quello di Macerata, invece, pur prevedendo lezioni di base, era più proiettato verso le innovazioni.

Matteo Gnes, co-direttore del master

Matteo Gnes, co-direttore del master

Diverse erano anche le origini dei due master: quello urbinate istituito e diretto da docenti di diritto amministrativo; quello di Macerata creato da un docente di economia e gestione delle imprese e poi diretto da docenti di diritto amministrativo. I programmi didattici dei due master si sono molto avvicinati nel corso degli anni, aprendosi entrambi a tutte le diverse discipline che interessano le pubbliche amministrazioni. Ciò ha reso relativamente semplice l’istituzione del nuovo master, che presenta un programma molto ampio e impegnativo. L’idea che sta dietro è che un bravo funzionario pubblico (o anche chi entra in relazione con le pubbliche amministrazioni) non possa conoscere bene solo il diritto amministrativo, ma debba possedere un’approfondita conoscenza di tutte le diverse discipline che interessano le p.a., dalla scienza dell’amministrazione alla valutazione delle politiche pubbliche, dalla conoscenza dei principi giuridici del procedimento amministrativo ai riflessi dell’utilizzo delle nuove tecnologie, dalla programmazione e valutazione alla conoscenza di elementi di ragioneria pubblica.

A chi interessa un master di secondo livello sulle innovazioni che riguardano la p.a.?

Interessa innanzitutto coloro che lavorano nelle pubbliche amministrazioni e che vogliano studiare, approfondire o aggiornare aspetti della loro attività professionale. In realtà, dovrebbe interessare soprattutto le amministrazioni, che dovrebbero avere come priorità la formazione dei propri dipendenti. Più preparati e aggiornati sono i dipendenti e migliore sarà l’azione amministrativa e il gradimento da parte dei cittadini-utenti-elettori. In secondo luogo, il master può interessare coloro che debbano affrontare concorsi pubblici per l’accesso o l’avanzamento di carriera, ovvero per l’accesso alla dirigenza. In terzo luogo, può interessare coloro che intendano svolgere l’attività forense. Un’ampia parte del master affronta problematiche giuridiche e in particolare di diritto amministrativo, con lo scopo di integrare l’esperienza acquisita con la pratica forense o con l’attività professionale, generalmente limitata ai pochi ambiti che sono generalmente trattati dai tribunali amministrativi regionali di provincia. In quarto luogo, è rivolto a tutti coloro che, per motivi diversi (amministratori e dipendenti di aziende che operano con le pubbliche amministrazioni, giornalisti, ecc.) abbiano interesse a conoscere come funziona la “macchina amministrativa”. Infine, ma non da ultimo per importanza, è rivolto agli amministratori pubblici, ossia a coloro che sono stati eletti a cariche locali o regionali, ma anche a coloro che sono nominati a dirigere enti pubblici. Infatti un bravo politico, pur non dovendo assumere decisioni amministrative, deve essere messo in grado di comprendere il funzionamento dell’amministrazione, anche per poter verificare in prima persona come quest’ultima operi.

È diffusa la percezione che la burocrazia costituisca ormai la parte più rilevante dell’attività delle amministrazioni. Quanto c’è di vero e quanto è dovuto invece all’ignoranza del funzionamento della p.a.?

Occorre innanzitutto una precisazione terminologica. Spesso si sente dire che la causa della lentezza dell’attività amministrativa è nel diritto amministrativo, che andrebbe abolito o la cui applicazione andrebbe circoscritta. E, parlando di burocrazia, anche nei vocabolari sono riportate più definizioni, che vanno da quella più neutra di “complesso dei pubblici funzionari” a quella, più connotata dal senso comune, di “dominio o eccessivo potere della pubblica amministrazione, con l’improduttiva pedanteria delle consuetudini, delle forme, delle gerarchie”. Da un lato non è possibile pensare ad una società organizzata senza regole: queste servono sia per disciplinare chi ha la precedenza ad un incrocio, sia per stabilire a chi attribuire un contributo quando le risorse sono scarse e non bastano per tutti. E d’altronde si deve tenere conto che spesso, dietro quanto appare, vi è una complessa macchina amministrativa. Per fare un esempio: negli eserciti più evoluti (come quello statunitense) dietro ad ogni soldato in azione, vi è un notevole numero di persone che pensa alla pianificazione, al supporto logistico, all’attività di controllo e così via. Dall’altro lato, la percezione comune che le procedure amministrative siano lunghe e farraginose corrisponde spesso alla realtà. Bisogna però interrogarsi sul motivo per cui, nonostante da anni si parli di “semplificazioni” e siano state operate riforme in tal senso, il peso degli adempimenti burocratici sia avvertito sempre maggiore. In uno studio di alcuni anni fa venne evidenziato che accanto a chi fa (nel Parlamento e nelle amministrazioni) le riforme amministrative, vi è chi le disfa; lo studio, curato da due studiosi (uno dei quali per anni docente del master urbinate) per conto di Astrid venne per l’appunto intitolato “La tela di Penelope”. In un’altra ricerca, condotta da Irpa e i cui risultati saranno pubblicati all’inizio del 2016, si cerca di analizzare i motivi dei ritardi e delle interruzioni dei procedimenti amministrativi, specie di quelli che riguardano le attività produttive. Le cause sono molteplici e vanno dall’eccessivo stock di regole all’ignoranza sul modo con cui queste vanno applicate. L’ipertrofia normativa è spesso una conseguenza della pressione pubblica esercitata sul legislatore, spesso in conseguenza di importanti fatti di cronaca: basti ricordare come la vicenda del mancato versamento dei contributi da parte di alcune imprese che si erano aggiudicate appalti pubblici ha portato a una complessa disciplina, che però comporta notevoli oneri su tutte le aziende che entrano in relazioni contrattuali con le p.a. La complessità del sistema normativo produce confusione e incertezza che, sommate a una crescente cattiva preparazione dei funzionari pubblici (a causa della mancanza di investimenti in formazione), può portare a inefficienza e corruzione. Limitandoci ai casi di inefficienza, spesso i procedimenti amministrativi si bloccano per l’incapacità di scostarsi da prassi amministrative che rispondono a norme superate; per la scarsa conoscenza di nuove regole (spesso, peraltro, contrastanti con altre regole o di difficile o impossibile applicazione); per l’interpretazione o l’applicazione eccessivamente formalistica della normativa, che non tiene magari conto dei principi generali del diritto amministrativo (come quello di proporzionalità); per la “paura di decidere”, motivata dal condizionamento “ambientale” o dalla presenza di interessi molto sensibili.

In che modo il corso di alta formazione può beneficiare della collaborazione tra i due Atenei, quello di Urbino e quello di Macerata?

L’istituzione di un master comune risponde a principi di razionalizzazione e di miglioramento dell’offerta formativa. Anzitutto consente di realizzare sinergie sotto il piano organizzativo e contabile, permettendo così di abbattere i costi e di mantenere una quota di iscrizione decisamente inferiore rispetto ad altre iniziative analoghe. In secondo luogo, ha l’obiettivo di razionalizzare l’offerta formativa. E infatti il master intende divenire il punto di riferimento in materia di formazione amministrativistica in ambito regionale e interregionale. In terzo luogo consente di giovarsi delle esperienze più che decennali e delle best practices dei due corsi precedenti.

Scorrendo l’elenco dei moduli, ai quali è possibile iscriversi anche singolarmente, si intravedono alcuni temi centrali per la p.a.: fondi europei, management, valutazione dei risultati, programmazione, decentramento. A suo avviso su quali assi procederà l’evoluzione della p.a. nei prossimi anni?

Quelli appena toccati sono temi di grande interesse. Penso, ad esempio, per la rilevanza economica, alla gestione dei fondi europei (modulo nel quale abbiamo coinvolto in passato esperti di rilievo, come funzionari della Corte dei conti europea); oppure alla valutazione, che rappresenta una delle sfide di maggiore complessità. Eppure credo sia un errore concentrarsi su un singolo aspetto. In Italia vi sono corsi specializzati in materia di gestione dei fondi europei o in materia di contratti pubblici che hanno l’obiettivo di formare specialisti di un determinato ambito. Ma per essere un bravo dirigente o un bravo funzionario serve qualcosa di più: occorre una formazione dalle ampie e solide basi, assieme alla capacità di ragionare e prendere decisioni sulla base dei principi, giuridici e non, che devono reggere l’attività amministrativa. Insomma, occorre acquisire una “nuova” cultura amministrativa.

È possibile quantificare l’incidenza della formazione dei dipendenti sul funzionamento della p.a.? Esistono dati che mettono in relazione le competenze dei dipendenti con lo svolgimento delle pratiche amministrative?

Tradizionalmente i funzionari hanno una formazione essenzialmente giuridica (laurea in Giurisprudenza o in Scienze politiche, nel vecchio indirizzo politico-amministrativo, e ora in Scienze amministrative). Persino il massimo organo di controllo, la Corte dei conti, annovera quasi esclusivamente magistrati di formazione giuridica (tranne che per pochissime eccezioni tra quelli di nomina politica). La regolazione amministrativa di un numero crescente di ambiti, l’europeizzazione, la globalizzazione del diritto e dell’economia (con la conseguente maggiore interazione con le amministrazioni di altri Paesi), l’utilizzo delle nuove tecnologie e i problemi connessi richiedono non solo l’ingresso di funzionari con una formazione diversa, come ad esempio gli ingegneri, ma anche che questi ultimi sappiano svolgere l’attività amministrativa. Un ingegnere che si occupa di sicurezza informatica, un funzionario di polizia che si occupa di questioni di immigrazione, un dirigente scolastico, un soprintendente ai beni paesaggistici devono sommare alle proprie competenze specifiche anche una solida conoscenza dei principi che regolano l’attività amministrativa. Se si vuole innovare occorre un cambiamento culturale che deve essere fornito attraverso la formazione: nei corsi di laurea universitari, nelle scuole di formazione dei funzionari pubblici (ed in particolare nella nuova Scuola nazionale di amministrazione) e in master come quello istituito dalle Università di Macerata e Urbino. Sulla formazione del personale pubblico sono stati compiuti diversi studi: da quelli di Guido Melis sulla burocrazia e sulla storia dell’amministrazione italiana, fino alla ricerca curata da Luisa Torchia sul sistema amministrativo italiano nel XXI secolo. Esistono poi diversi studi statistici, come il rapporto annuale sulla formazione nella p.a. e altri che, anche in chiave comparata, cercano di sfatare alcuni miti, come quello dell’eccessivo numero di dipendenti pubblici rispetto alla popolazione. Il quadro che ne esce, specie in termini di qualificazione del personale e di spesa per la formazione, è desolante.

Come si migliorano i rapporti (sia dall’interno sia dall’esterno) tra p.a., imprese e cittadini? Iniziative come questa sono un tentativo di indirizzo verso il superamento dei maggiori ostacoli?

Negli ultimi anni abbiamo assistito a numerose stagioni di riforme amministrative. E certamente importanti passi avanti sono stati fatti: fino al 1990 non c’era una legge sul procedimento amministrativo, era la giurisprudenza a stabilire se i termini di conclusione erano “ragionevoli”. Poi tali termini sono stati esattamente individuati. Un tempo era impensabile ottenere il rilascio della carta d’identità a vista, o ricevere la patente subito dopo il superamento dell’esame di guida. Progressi ne sono stati fatti, ma l’amministrazione italiana rimane, in molti ambiti, “vecchia” e lenta. Si pensi che vi sono Stati, negli Usa e in Europa, ove aprire e registrare una società richiede poche ore. Si deve comprendere che l’Italia compete con questi Paesi e che l’efficienza della pubblica amministrazione è un elemento chiave per lo sviluppo. Ci sono stati passi avanti anche nell’avvicinare l’amministrazione al cittadino: codici di condotta, introduzione di tecniche di comunicazione pubblica, introduzione di regole volte a garantire (anche se in modo spesso farraginoso e complesso) la trasparenza e la pubblicità. Tuttavia serve qualcosa di più, ossia quel cambiamento culturale cui ho già fatto cenno. Le parole chiave del master sono “scienze amministrative” e “innovazione”. Con la prima si vuole indicare espressamente il fine di sviluppare una cultura amministrativa che non si limiti al diritto amministrativo, ma sappia trarne i principi e le regole di funzionamento utilizzando le tecniche delle altre scienze per perseguire l’obiettivo costituzionale, oltre che dell’imparzialità, del buon andamento (efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa). Con la seconda si vuole indicare la strada per il rinnovamento della pubblica amministrazione, evidenziando quali sono, sulla base delle novità normative introdotte, le best practices che possono servire da esempio. In questo modo, “nel suo piccolo”, il nuovo MasterPA intende offrire il contributo per il rinnovamento dell’amministrazione del nostro Paese.

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