Attraverso i modelli matematici oggi si fanno previsioni sulla diffusione epidemica. Sempre i modelli matematici sono utili a ipotizzare le fasi di riapertura, compatibilmente con le curve di contagio. Ma quale significato ha questo termine: modelli matematici? Insieme al professor Marco Rocchi, docente di statistica medica all’Università di Urbino, abbiamo cercato di rispondere a questa domanda.

“Un modello matematico – spiega – semplifica la realtà attraverso equazioni differenziali. Va perciò confrontato con i dati reali. Se i dati ne confermano l’attendibilità è presumibile che possa essere valido anche per anticipare ulteriori sviluppi”.

Da che cosa dipende il grado di affidabilità?

Un modello matematico come quello utilizzato per la pandemia da Covid-19 si basa su presupposti biologici. Se questi sono giusti, il margine di errore delle previsioni si riduce. Viceversa, se il modello descrive bene l’andamento, i presupposti biologici sono confermati. I presupposti biologici non sono altro che le caratteristiche biologiche del virus.

Qual è un modello possibile per spiegare la situazione attuale?

Uno dei modelli più utilizzati si chiama SIR, sviluppato dagli scienziati William Ogilvy Kermack e Anderson Gray McKendrick. Io preferisco a questo il SIRS: il gruppo di ricerca di Urbino, di cui fanno parte insieme a me Margherita Carletti (la più esperta in questo ambito), Davide Sisti e due giovani dell’Università di Bologna, è stato tra i primi ad utilizzarlo. “S” sta per suscettibili, coloro che sono esposti al contagio, “I” per infetti, cioè coloro che hanno contratto il virus, “R” per rimossi, i guariti o i deceduti. “S”, che integriamo a causa della provvisorietà dell’immunizzazione, indica di nuovo i suscettibili che, persa l’immunità, tornano ad essere a rischio contagio. L’equazione differenziale è la seguente:

dS/dt = -αS(t)I(t) +ρR(t)
dI/dt =αS(t)I(t) – βI(t)
dR/dt = βI(t) -ρR(t)

dove α è la forza del contagio, che dipende dalle caratteristiche del virus, β è la velocità di risoluzione (guarigione o decesso), ρ la velocità con la quale si perde l’immunità.

Sulla base di quanto descritto come si procede alla previsione?

Ricavando i valori di α, β e ρ dai dati scientifici che abbiamo a disposizione sul virus, mentre sugli ultimi due non possiamo intervenire, perché dipendono dalle caratteristiche biologiche del virus, possiamo incidere invece sul valore di α, in parte legato ai presupposti biologici, vale a dire alla trasmissibilità del virus, in parte alle azioni che possiamo mettere in campo per contenere il contagio (distanziamento sociale e lockdown).

Il professor Marco Rocchi, docente di statistica medica

Dove si annida il margine di errore di un modello matematico?

Intanto è una semplificazione della realtà. Inoltre, abbiamo sempre incertezze sul valore da attribuire ai parametri: ad esempio, se prendiamo il valore di ρ, i massimi esperti di Coronavirus ci dicono che l’immunità che si acquisisce dopo la guarigione probabilmente non è permanente. Ma sulla durata dell’immunizzazione (stimata tra 6 mesi e un anno) non possiamo che fare delle ipotesi. È evidente che attribuendo numeri diversi a ρ otteniamo risultati diversi.

Il lockdown come interviene nel nostro modello?

Per il modello SIRS che abbiamo utilizzato abbiamo assunto un valore α corrispondente a 0,6. Prima del lockdown la velocità di contagio era di 2,6. Dunque abbiamo avuto una riduzione del 75%. Nella fase 2 del contenimento α è destinato a risalire, anche se di poco. A quel punto il nostro modello non sarà più valido e andrà aggiornato.

Esistono altre variabili da tenere in considerazione?

Sì, il rapporto tra sintomatici, asintomatici e paucisintomatici (i pazienti che hanno pochi sintomi di lieve entità, tra cui ageusia – perdita del gusto – e anosmia – perdita dell’olfatto -). Quale relazione numerica esiste tra queste due categorie di infetti? Le stime disponibili, che ci arrivano dalla Corea del Sud e dal Giappone, supportate dallo screening dei pazienti, parlano di un range che va 1 a 9, fino ad un massimo di 1 a 99. Significa che nella migliore delle ipotesi ad ogni contagiato con sintomi ne corrispondono 9 asintomatici. Mentre nella peggiore abbiamo 1 sintomatico per ogni 99 casi di pazienti senza sintomi. Una notizia buona e cattiva al tempo stesso, perché all’aumentare del numero di contagiati diminuisce sensibilmente la letalità del Covid-19, ma d’altra parte un elevato numero di asintomatici favorisce l’enorme diffusione del virus.

Sull’uso dei modelli matematici nelle scienze biologiche e sociali: 5 slides di approfondimento sul tema con il professor Gian Italo Bischi

Sull’uso dei modelli matematici nelle scienze biologiche e sociali

Sull’uso dei modelli matematici nelle scienze biologiche e sociali

Da Galileo a Keynes, Kermack e McKendrick, fino ai giorni nostri, passando per Vito Volterra. Con il professor Gian Italo Bischi, docente di sistemi dinamici e giochi evolutivi, siamo ritornati sul tragitto dei secoli, per capire come i numeri siano arrivati a descrivere i fenomeni sociali e le epidemie a partire dai modelli impiegati in fisica.

1. Da quando i modelli matematici vengono utilizzati per risolvere problemi non matematici?

Che la matematica sia linguaggio e strumento coi quali vengono formulati i problemi della fisica è ben noto fin dal tempo di Galileo, e i successi ottenuti in questo campo sono ormai fuori discussione. Anzi, proprio il fatto che l’uso della modellistica matematica si sia rivelato così utile in fisica, ha suggerito di introdurre metodi simili, talvolta con difficoltà non trascurabili, anche in discipline tradizionalmente considerate poco adatte ad un simile approccio: l’economia, la sociologia, l’ecologia. Possiamo includere anche i modelli epidemici che descrivono la diffusione di malattie riguardanti l’interazione fra gruppi di individui, problema tipico appunto dell’ecologia delle popolazioni animali. Così come nel 1926 il fondatore dell’ecologia matematica, l’italiano Vito Volterra, aveva descritto le dinamiche di interazione fra prede e predatori o fra diverse specie animali che competono per le stesse risorse vitali in un certo ambiente, i modelli epidemici SIR (Suscettibili, Infetti, Rimossi) proposti nel 1927 dagli scozzesi Kermack e McKendrick descrivono l’interazione all’interno di un certo ambiente fra i tre gruppi di individui infetti, non infetti (ma suscettibili di essere infettati) e non più infettabili (immuni o deceduti). Modelli matematici molto simili (magari con piccoli ritocchi) vengono usati anche per altri scopi, ad esempio per descrivere la diffusione di una nuova tecnologia all’interno di una popolazione di imprese o di una informazione (vera o falsa che sia) col passaparola o mediante i social networks, attraverso tipici processi di contagio fra informati e non informati.

2. In che cosa differisce l’utilizzo dei modelli matematici in fisica dal loro utilizzo in altre discipline?

Descrivere particelle inanimate che interagiscono è sicuramente più facile che descrivere l’interazione fra individui, anche quando si ha a che fare con grandi numeri (a livello di singoli individui la partita è persa in partenza). Questo problema era già stato espresso da Volterra nel discorso con cui apriva l’anno accademico 1901-1902 nel quale disse: “è intorno a quelle scienze nelle quali le matematiche solo da poco tempo hanno tentato d’introdursi, le scienze biologiche e sociali, che è più intensa la curiosità, giacché è forte il desiderio di assicurarsi se i metodi classici, i quali hanno dato così grandi risultati nelle scienze meccanico-fisiche, sono suscettibili di essere trasportati con pari successo nei nuovi ed inesplorati campi che si dischiudono loro dinanzi“. Il dubbio di Volterra consisteva nel fatto che all’interno di quelle equazioni ci sono dei parametri che in qualche modo riflettono le scelte degli individui o le politiche adottate dalle istituzioni, che sono a loro volta legate al loro livello di razionalità, alle informazioni possedute, ai vincoli di vario genere esistenti nell’ambiente in cui si opera, non escluse le componenti psicologiche e le interazioni sociali in senso ampio. In simili modelli matematici bastano piccole differenze di stime dei parametri, stime basate sui dati e informazioni possedute, per condizionare, anche in modo non trascurabile, le previsioni ottenute. Insomma, se qualche previsione non è troppo attendibile non è sempre colpa dei modelli.

3. Possiamo fare qualche esempio?

Senza scomodare modelli complicati, per capirci, basta l’esempio del teorema di Pitagora, il cui enunciato è semplice e noto a tutti ma occorre applicarlo nelle condizioni idonee (il matematico le chiama ipotesi). Se applico il teorema di Pitagora a un triangolo che non è rettangolo e di conseguenza ottengo un risultato sbagliato, la colpa non è di Pitagora. Anzi, talvolta accade che ci si nasconda dietro l’apparente infallibilità della matematica (si dice spesso che la matematica non è un’opinione) per proporre previsioni sballate dicendo “sono state ottenute utilizzando un modello matematico”. Ma occorre vedere se il modello è stato applicato nelle situazioni (ipotesi) per le quali il modello è stato pensato e se i dati utilizzati per stimarne i parametri (i coefficienti) sono stati misurati in modo rigoroso o se sono dati sbagliati (talvolta involontariamente, ma a volte anche volutamente sbagliati). In altre parole, se utilizzo un buon modello usando dati sbagliati per stimarne i coefficienti, non posso pensare di ottenere risultati corretti. Ancor più banalmente, se è vero che l’area di un rettangolo si ottiene moltiplicando base per altezza, inserendo una lunghezza sottostimata della base, il risultato sarà errato, anche se “ottenuto matematicamente”.

4. In ambito sociale ipotesi e coefficienti non rischiano di essere imprevedibili?

Da questo punto di vista è più facile usare modelli matematici per la fisica che per le scienze sociali, perché queste ultime coinvolgono anche ipotesi legate alla presenza di comportamenti inattesi, sia fra i soggetti che interagiscono sia fra quelli che prendono decisioni, condizionati da fattori che non esistono nel caso di sistemi fisici, come libero arbitrio, pregiudizi storici, culturali, psicologici, politici. L’economista Keynes, negli anni ‘40 del secolo scorso, diceva che a differenza dei sistemi della fisica, l’andamento dei sistemi sociali è più difficile da descrivere mediante modelli matematici, in quanto essi “hanno a che vedere con motivazioni, aspettative, incertezze psicologiche. Si deve essere costantemente attenti a non trattare questo materiale come se fosse costante ed omogeneo. È come se la caduta della mela al suolo dipendesse dalle aspirazioni della mela, se per lei sia conveniente o meno cadere a terra, se il suolo vuole che essa cada, e se vi sono stati errori di calcolo da parte della mela sulla sua reale distanza dal centro del pianeta, quanto la mela si fa condizionare dal comportamento delle altre mele, ecc.”.

5. Dunque, che fare? Possiamo pensare di rinunciare alla “previsione dei numeri”?

No, senza di loro, per dirla con Galileo, è come aggirarsi in un oscuro labirinto. I modelli matematici sono una guida sicura, una base ferma e affidabile per schematizzare un sistema, per investigarne a fondo il funzionamento, anche se spesso si tratta di schemi ideali, talvolta semplificazioni, caricature e scarnificazioni dei sistemi reali. Ma anche in questo modo sono in grado di suggerirci informazioni e formulare previsioni del tutto attendibili e utilissime, se interpretate correttamente. Anche in fisica i modelli hanno a che fare con idealizzazioni come i corpi rigidi, i gas perfetti, le superfici prive di attrito, i fili inestensibili, le masse puntiformi… Eppure i risultati ottenuti con tali modelli hanno permesso di capire e scoprire leggi di incredibile utilità e in grado di prevedere fenomeni con estrema precisione. La stessa cosa accade coi modelli epidemici SIR e i tanti da essi derivati (sempre più sofisticati e testati). Messi a punto per descrivere la diffusione della malaria, sono stati adattati a diverse situazioni fornendo utilissime previsioni e suggerimenti su possibili politiche di contenimento.

 

Al margine di errore dovuto ai meccanismi interni dei modelli se ne aggiungono poi altri, di rilevazione.

Il primo è dovuto alla mancanza di trasparenza, alla diffusione di dati che non corrispondono alla situazione reale. Poi c’è un problema legato alle cause di morte. I clinici italiani hanno notato ad esempio che in una prima fase del virus l’organismo risponde all’infezione producendo citochine in grande quantità. Questo tipo di risposta infiammatoria – specie se non si interviene prontamente – rischia di causare danni multiorgano. Quindi si può avanzare il dubbio che in un primo momento non si siano conteggiate tra le vittime di Coronavirus alcuni pazienti colpiti da cause oggi collegabili al virus; questo, sembra ormai accertato, è accaduto ad esempio per numerosi decessi inizialmente conteggiati come infarti. Inoltre, va aggiunto che altri Paesi, rispetto all’Italia, utilizzano una codifica diversa delle cause di morte da Covid, restringendo le percentuali ai pazienti senza patologie pregresse.

Non esiste dunque, almeno in Europa, un’unità di misura condivisa?

In verità secondo la classificazione OMS, condivisa nei panel internazionali di esperti, non si dovrebbero includere nelle statistiche delle cause di morte per Covid i pazienti deceduti con patologie pregresse. Le codifiche sulla mortalità distinguono tra cause iniziali e cause multiple. Se questo è corretto per le analisi di mortalità, tuttavia, ai fini dell’indagine epidemiologica, è importante considerare tutti gli infetti per ottenere maggiori informazioni sulla diffusione del contagio.

Altri fattori esterni che incidono sui modelli matematici?

La tempestività della cura naturalmente contribuisce a variare il calcolo delle nostre equazioni differenziali, innalzando il parametro della velocità di risoluzione. Inoltre, tra un Paese e l’altro, in una situazione di normalità (al di fuori dunque di un regime restrittivo di contenimento), influiscono molto la struttura demografica e l’organizzazione della risposta sanitaria.

Con struttura demografica si fa riferimento all’innalzamento dell’età media?

Non solo. L’Italia è un Paese con una struttura familiare trigenerazionale, gli anziani hanno contatti più frequenti con figli e nipoti. È un elemento importante, da non sottovalutare, nell’analisi dello sviluppo di un’epidemia come quella che stiamo attraversando.

Un’ultima domanda: il suo corso come affronterà, se lo farà, questi temi?

Ad una prima parte più “classica” ne seguirà un’altra, dedicata alla lettura critica della letteratura sia scientifica sia destinata al grande pubblico.

 

Immagine in evidenza: Nigel Tadyanehondo

Pin It on Pinterest

Share This