È una geometria non euclidea di linee curve la vicenda di Ambra Maggioli. L’unico piano è aderire al cambiamento che trova le premesse in ciò che fortifica dentro. Attualmente è educatrice di sostegno in una scuola dell’infanzia, la più pacifica delle carriere che nasconde però la più battagliera delle virate.
Ambra dove lavori attualmente?
Sono educatrice di sostegno in una scuola dell’infanzia comunale. La gestione delle sezioni e del servizio di sostegno ai bambini disabili della scuola è affidata ad una cooperativa che nel 1946 ha dato vita ad un villaggio educativo per bambini, oggi uno dei pochi esempi in Italia di scuola privata laica dove si fa integrazione scolastica dei soggetti in situazione di handicap, anche grave.
Qual è la fascia di età dei bambini di cui ti occupi?
3-6 anni.
Il tuo titolo di studio?
Mi sono laureata a Urbino, dove ho frequentato il corso di laurea triennale in Scienze dell’educazione e ho terminato da poco il master DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), BES (Bisogni Educativi Speciali) e Disturbi dello Sviluppo. Psicopedagogia, Metodologie Didattiche, Pedagogia Speciale e Didattica dell’inclusione, diretto dal professor Mario Rizzardi e dalla professoressa Barbara Tognazzi.
Ogni curriculum vitae è una storia unica e irripetibile. Che cosa c’è di peculiare nel tuo percorso?
C’è che sono arrivata all’Università ad un mese esatto dal compimento dei miei 30 anni. Ho iniziato il mio percorso di studi nell’ottobre 2015. A giugno 2018 mi sono laureata con il massimo dei voti. Prima ero dipendente in azienda con un buon contratto a tempo indeterminato.
Che cosa succede tra il “prima” e il “dopo”, che cosa c’è in mezzo?
Mi sono accorta che il mio lavoro era esclusivamente allineato alla mia spasmodica ricerca di certezze e completamente disallineato alla mia persona e ai miei talenti. Avevo costruito un castello su fondamenta di sabbia, solido solo all’apparenza. Negli anni in cui lo costruivo, consideravo uniche detentrici della stabilità del mio castello alcune cose come le entrate sicure di denaro, il contratto a tempo indeterminato, il posto fisso in un’azienda in crescita nel pieno della crisi economica. Poi capii che la stabilità, prima che con tutto questo, aveva a che fare con ciò che ero. Ad un certo punto il mio sé ha scalpitato e ha deciso di sottrarsi alla comfort zone che mi ero creata.
E fu così che hai lasciato un lavoro con contratto a tempo indeterminato per riprendere il tuo percorso formativo.
Esattamente, è stata una scelta difficilissima, per certi versi non compresa.
Da chi?
Non tutti coloro che mi erano vicini hanno condiviso questa scelta. Alcune persone non erano disponibili a vedermi cambiare e migliorare la mia vita, le ho perse lungo il tragitto. Altre persone invece mi consigliavano di lasciar perdere perché avevano paura per me, penso volessero proteggermi dalle difficoltà che avrei potuto incontrare. Dopo i primi buoni risultati hanno cominciato ad avere fiducia nella mia scelta e a sostenermi ed è stato in quel momento che mi sono sentita davvero protetta.
Il tuo background qual era?
Provenivo da un liceo socio-psico-pedagogico, c’era già traccia di quel che avrei voluto fare. Eppure, appena diplomata, hanno prevalso altre esigenze e ho deciso di entrare subito nel mondo del lavoro.
Quando hai sentito che la tua “ribellione” non era più rinviabile, la scelta è stata istantanea?
Macché, ci ho impiegato un anno intero. È stata una scelta consapevole. Sono tornata a ritroso negli anni, a chiedermi chi ero da bambina, cosa mi piaceva fare, ma soprattutto chi ero in quel momento, cos’era diventato importante per me e cosa non lo era più. Raccontarlo mi emoziona ancora.
L’Università che cosa rappresenta per te?
Per me è stato il punto zero dal quale ripartire, una vera rinascita. Il primo giorno di lezione ero terrorizzata, mi sentivo fuori luogo e fuori tempo, lontana dal mondo scolastico e dallo studio, pur essendo un’ottima lettrice. Ho cercato di familiarizzare un po’ con l’ambiente, le strade, le sedi universitarie. Ma quello che mi ha fatta sentire “a casa” sono stati i legami con le ragazze del corso, abbiamo presto creato un gruppo di studio che mi ha dato tanta forza. Poi, dopo il primo, il secondo, il terzo esame è cresciuta la fiducia e la convinzione di farcela.
Addirittura hai parlato di terrore…
Con un mutuo da sola sulle spalle da pagare una scelta del genere ti pone davanti a molte incognite.
C’è qualcosa che ti ha aiutata a non mollare?
La frequenza alle lezioni del primo anno è stata importantissima, mi ha inserita nelle dinamiche universitarie, mi ha permesso di conoscere i docenti e di elaborare il mio personale metodo di studio.
Oggi qual è il tuo ruolo nella scuola dell’infanzia?
Sono educatrice di sostegno di un bambino con disturbo dello spettro autistico.
Come sei arrivata al mondo dell’autismo?
Durante il colloquio non ho specificato il tipo di disabilità di cui avrei preferito occuparmi nel sostegno scolastico. L’incontro con il mondo dei bambini autistici è stato casuale, molto complesso, ma talmente magico e appassionante che ho deciso di approfondirlo seguendo corsi di perfezionamento con le altre colleghe del sostegno e iscrivendomi al master, passaggio che ha sicuramente conferito valore al mio curriculum. Essere educatrice di un bambino autistico significa fronteggiare quotidianamente numerose difficoltà e riuscire a trovare le chiavi giuste per superarle. Abbiamo la tendenza a demonizzare le difficoltà, a rifuggirle. Quando il bambino presenta una crisi mi torna in mente una parola che una persona per me molto importante mi ripeteva sempre: “stacci”, cioè non fuggire, resta in quella difficoltà e vedi cosa succede. Quello che succede nelle difficoltà è che ci sentiamo scomodi, un po’ frustrati, parecchio sconfortati. Ma trovata la soluzione ci sentiamo nutriti e ripagati di tutto. Sentiamo che ne è valsa la pena. Con l’autismo è così, sento che ne vale la pena.
Dove sarai tra qualche anno?
La disabilità mi appassiona, vorrei specializzarmi come terapista ABA per l’autismo. Nel frattempo sto valutando anche l’iscrizione alla specialistica per poter accedere all’insegnamento nelle scuole superiori.
Dallo specchietto retrovisore che cosa vedi?
Vedo una persona insicura nelle sue false sicurezze.
Qualcosa di imprevedibile che ti è successa?
La prima persona che ho conosciuto all’Università è stata Irene. Oggi siamo educatrici di sostegno nella stessa classe. Curioso, no?
È il momento dei consigli. Il tuo, ad un ragazzo o ad una ragazza che sono di fronte alla scelta del corso di laurea, cosa vorresti dire?
Sconsiglio di scegliere il corso di laurea soffermandosi sulle possibilità lavorative ed economiche: il futuro si crea da ciò che ci piace fare nel presente, passo dopo passo. Tra la strada certa e quella incerta, la prima è quasi sempre la via di chi si accontenterà, la seconda di chi sarà felice.
Hai altre indicazioni che portano alla felicità o, almeno, che la costeggiano?
Se doveste perdervi per via Non ci crede nessuno sappiate che c’è una parallela che si chiama Io ci credo, già via dell’Ignoto. Percorrendola, si arriva in via della Soddisfazione, una strada lunga e tortuosa che, a senso unico, conduce al proprio personale successo.