Il 25 marzo 2022, la sonda spaziale ESA/NASA Solar Orbiter ha osservato, per la prima volta nella corona del Sole, una struttura magnetica a forma di S che si propaga nello spazio interplanetario: lo switchback! Se il coronografo italiano Metis, alle cui indagini partecipa il gruppo di ricerca di Uniurb coordinato dalla Professoressa Catia Grimani, ha scattato la prima fotografia dell’evento, Daniele Telloni, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – Osservatorio Astrofisico di Torino, ne ha riconosciuto le caratteristiche intercettando il fenomeno.
Il paper Observation of a magnetic switchback in the solar corona che racconta la scoperta è stato pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters e firmato da un team scientifico internazionale, guidato dal Dottor Telloni, che comprende studiosi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Agenzia Spaziale Italiana, delle Università di Firenze, di Padova e di Urbino, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Università dell’Alabama a Huntsville e di altri prestigiosi Atenei stranieri.
Ne parliamo con Daniele Telloni e Catia Grimani, docente di Fisica sperimentale dell’Università di Urbino, co-investigator del team scientifico Solar Orbiter-Metis e coordinatrice del gruppo di ricerca di Uniurb.
Dottor Telloni, che cos’è uno switchback e dove ha origine?
Uno switchback è una struttura magnetica a forma di S che dalla corona del Sole si propaga nello spazio interplanetario. Si tratta di un fenomeno osservato già negli anni ‘70 e ‘90 da due sonde, Helios e Ulisses, a grande distanza dal Sole dove queste strutture si manifestavano sporadicamente come inversioni del campo magnetico senza destare troppo interesse. Quando, nel 2018, Parker Solar Probe si è avvicinata al Sole, come nessun’altra sonda in precedenza, ha rivelato tantissimi di questi switchback che sono finiti sotto i riflettori della comunità scientifica internazionale.
A quel punto i teorici hanno cominciato a interrogarsi sull’origine del fenomeno: dove e come nascono gli switchback? Per cui averli osservati nella corona, cioè nell’atmosfera più esterna del Sole, e sopra una regione attiva della nostra stella, in uno spazio cioè caratterizzato da una elevata attività magnetica, ha permesso di dire che queste strutture si formano sul Sole e ci ha consentito anche di rintracciare il meccanismo che li genera.
Fermiamo in un’istantanea di poche righe il momento della scoperta?
È andata così: con alcuni colleghi del team di ricerca stavamo esaminando i dati raccolti dal coronografo Metis al primo passaggio di Solar Orbiter al perielio, quando una struttura magnetica che aveva una strana forma a S ha catturato la mia attenzione e mi ha fatto subito pensare a un articolo pubblicato qualche anno fa dal Professor Gary Zank, dell’Università dell’Alabama ad Huntsville, sulla formazione degli switchback.
Ho contattato, quindi, il Professor Zank e insieme abbiamo avviato il lavoro successivo. L’ipotesi è stata provata dall’esito dell’analisi dati, da modellizzazioni teoriche, simulazioni numeriche e ricostruzioni al computer del campo magnetico coronale che hanno dimostrato che lì dove si è sviluppato lo switchback erano in atto eventi di riconnessione magnetica. Quindi, un insieme di indizi ci ha portato a dedurre che il fenomeno della riconnessione magnetica è alla base della formazione degli switchback.
Perché è importante studiare il vento solare e gli switchback che il vento trasporta?
Catia Grimani ― Il sole ruotando emette milioni di tonnellate di plasma. Questo plasma è il vento solare, cioè una corrente continua di particelle cariche che si espande e si propaga anche verso la Terra. A proteggere il nostro pianeta dalle conseguenze devastanti di questo bombardamento è la magnetosfera terrestre che devia il flusso del vento solare e rende possibile la vita e la sopravvivenza dell’ecosistema terrestre.
Di tanto in tanto succede, però, che il Sole “starnutisca” e che il vento solare riesca a disturbare la parte più esterna di questa corazza magnetica lasciando cadere sulla Terra una pioggia di particelle – la cosiddetta tempesta geomagnetica – che va a danneggiare la salute delle infrastrutture e quella delle popolazioni che vivono a più alta quota.
Ora, gli switchback pur formandosi nel vento solare non impattano direttamente perché sono strutture piccole che hanno poca energia. Tuttavia, conoscerli studiandoli a fondo può aiutare a capire come funziona il Sole e a prevederne gli effetti.
Gli switchback possono accelerare il vento solare?
Daniele Telloni ― Gli switchback, localmente, vengono osservati con una certa frequenza e contemporaneamente a improvvise accelerazioni del plasma di cui è fatto il vento solare che, di conseguenza e con molta probabilità, contribuiscono ad accelerare.
Credit: ESA & NASA/Solar Orbiter/EUI & Metis Teams and D. Telloni et al. (2022); Zank et al. (2020)
Professoressa Grimani, in che modo il gruppo di ricerca di Uniurb ha contribuito alla rilevazione?
Al suo interno Solar Orbiter accoglie una serie di strumenti per lo studio del Sole. Uno di questi è Metis, un coronografo che scatta immagini dettagliatissime della corona solare per consentirne l’osservazione sia nella banda visibile, sia in quella ultravioletta. Per Metis, noi del gruppo di ricerca Uniurb prevediamo e monitoriamo gli effetti che i raggi cosmici, e in generale le particelle di alta energia, producono sul dispositivo e sulle immagini registrate.
Per il ruolo che ho nella collaborazione, riguardo alla scoperta degli switchback, ho escluso che si trattasse di un fake associato a pixel spuri accesi dai raggi cosmici o dalle particelle solari. Si trattava, infatti, di un’immagine in movimento. I raggi cosmici possono generare dei pattern casuali, cioè gruppi di pixel accesi che mutano velocemente nel tempo, ma mai una struttura ordinata in movimento. In generale, il merito che certamente mi riconosco è di aver creduto fin dall’inizio in questa scoperta.
Daniele Telloni ― Tengo molto a precisare che il paper non avrebbe visto la luce se non ci fossero state diverse persone che hanno creduto nel risultato dall’inizio, creduto nella collaborazione e in me. Quindi il contributo di Catia è stato importante non solo dal punto di vista scientifico, perché ha dimostrato che la struttura individuata non era un fake, ma anche dal punto di vista della collaborazione perché con lei, il gruppo di Urbino ha creduto e sostenuto l’ipotesi da subito.
Professoressa Grimani, chiedo anche a lei di raccontare l’attimo in cui è avvenuta l’osservazione.
Ero in macchina, in call con i colleghi del gruppo di studio, per cui potevo ascoltare ma non vedere le immagini che scorrevano sul monitor, quando ho sentito Daniele chiedere a qualcuno: “ferma, ferma, ferma e zooma in quel punto”. Ho capito subito che aveva visto qualcosa, ma sul momento non ha detto cosa fosse.
Arrivata a Urbino l’ho chiamato e lui con grande entusiasmo mi ha parlato dello switchback. Io dico sempre che Daniele Telloni non lavora per vivere, vive per lavorare e ha un amore viscerale per la ricerca. È chiaro che la scoperta è di Metis, ma questo non esclude che sia anche sua perché, di fatto, è lui che ha riconosciuto lo switchback.
Dottor Telloni, si continuerà a studiare il fenomeno switchback?
Certamente! Sarebbe importante, e ci auguriamo di poterlo fare, studiare gli switchback utilizzando contemporaneamente due diverse sonde quando sono in quadratura rispetto al Sole, cioè quando il Sole si trova al vertice di un angolo retto. Una delle sonde dovrebbe osservare la nostra stella da lontano, nella sua sorgente coronale, l’altra dovrebbe osservarla più tardi localmente, nello spazio interplanetario. La cosa interessante sarebbe fare una correlazione tra i dati emersi.
Tra qualche anno, quando ripenserà ai giorni della scoperta come li ricorderà?
Come un grande lavoro di squadra. Ho avuto il privilegio di guidare un gruppo di persone provenienti da tutto il mondo, con competenze fortissime, ognuno top level nel proprio campo.
Fare questo lavoro in meno di un mese è stato possibile grazie al grandissimo entusiasmo che circolava nel team internazionale. Abbiamo lavorato all’unisono e ci siamo mossi velocemente per pubblicare il paper nel più breve tempo possibile. Anche perché Metis ha osservato il fenomeno, ma la possibilità che altri coronografi rintracciassero queste strutture e dessero alle stampe pubblicazioni concorrenti era concreta.
Ci siamo dedicati all’impresa 24 ore al giorno, sette giorni su sette con grande slancio e quando dico questo penso sicuramente a Catia, ai colleghi dell’Alabama, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’Agenzia Spaziale Italiana. Sono molto contento della scoperta in sé, ma soprattutto sono contento di aver guidato un gruppo così eterogeneo e competente di persone che con passione sanno fare la differenza.
Lo switchback osservato il 25 marzo 2022
Credit: ESA & NASA/Solar Orbiter/EUI & Metis Teams and D. Telloni et al. (2022)
Immagine di copertina. Credit: ESA & NASA/Solar Orbiter/EUI Team