Quel segno lasciava intuire qualcosa di imprevisto nella scena, una nuova luce. I suoi occhi, dopo molti sopralluoghi, avevano acceso un nuovo interruttore al centro della storia. E quell’atto, che pareva essersi consumato tutto a Firenze, in un baleno rivelava retroscena collegabili agli ambienti veneziani.

Inizio di un giallo, premonizione di un delitto. No, nessun giallo, nessun delitto. È la descrizione fantasiosa di un romanziere, di una scoperta. Di quando Roberto Longhi scardinò le serrature della poetica di Piero della Francesca. A ispirarne la rivisitazione è Mattia Giancarli, studente Uniurb della magistrale in Storia dell’Arte, convinto sostenitore di questo parallelo tra il caso poliziesco e un mestiere che ha fissato poco più in là nella sua vita.

Autoritratto.

Sono uno studente universitario che qualche anno fa è stato studente di liceo.

Liceo?

Scientifico.

Quindi uno studente che ha cambiato idea?

No, metodologicamente un liceo come il mio e il corso di laurea in Storia dell’arte sono affini. E poi è lì, tra quei banchi, che ho incontrato questo mondo e ho deciso di approfondirlo. Vero, mi è sempre piaciuta la storia dell’arte, ma è al quinto anno di superiori che è successo qualcosa.

Che cosa?

Con la mia classe partecipiamo alle Olimpiadi del patrimonio organizzate dall’ANISA; per chi non fosse pratico, l’Associazione Nazionale Insegnanti di Storia dell’Arte e – sorpresa! – arriviamo secondi. Prima superando le fasi regionali (argomento: l’informale). Quindi, arrivando in finale con un progetto di ricerca sull’arte contemporanea nella nostra città, vale a dire la transavanguardia, Enzo Cucchi e la Rotonda di Senigallia. Questo successo è stato per me un’ulteriore incentivo a intraprendere lo studio della storia dell’arte.

Riprendiamo il filo interrotto: dicevamo della scelta fatta alle superiori…

Sì. Finita la maturità mi iscrivo alla triennale di Scienze Umanistiche. Discipline Letterarie, Artistiche e Filosofiche ad Urbino, indirizzo storico-artistico. Poi, concluso anche quel ciclo di studi, al corso di laurea magistrale in Storia dell’Arte.

Per due volte hai scelto Uniurb, perché?

Perché questa città è diventata la mia seconda casa.

Parliamo di offerta formativa.

Il corso ripercorre la storia dell’arte dal medioevo al contemporaneo, recuperando la produzione greca, romana e bizantina con lo studio dell’archeologia. Ci sono inoltre le materie legislativo-giuridiche, che completano il quadro; senza dimenticare insegnamenti più specifici, come la Storia delle tecniche artistiche e delle arti grafiche, che permette di avvicinare l’artista interrogando, in maniera più intima, le sue invenzioni attraverso gli esercizi grafici, dagli schizzi più veloci fino ai cartoni preparatori.

Che cosa aggiunge lo studio del disegno e delle stampe agli studi storico-artistici?

Permette di giungere a considerazioni critiche importanti, perché tramite la circolazione di disegni e stampe gli artisti avevano modo di studiare le opere e lo stile dei grandi maestri dell’arte e rimanere aggiornati sulle principali novità artistiche.

Quale grado di libertà consente il piano di studi?

Numerosi corsi hanno un taglio monografico, è possibile quindi costruire la propria carriera universitaria organizzando il piano di studi in maniera personale, senza mai tralasciare il panorama generale della storia dell’arte.

A quale anno sei iscritto?

Secondo.

Stai già pensando alla tesi?

La sto scrivendo, sono in dirittura di arrivo. Mi sono occupato di Cristofano (o Cristoforo) Gherardi, collaboratore di Giorgio Vasari. Di lui abbiamo soltanto pochi affreschi e un numero limitato di opere, anche se è stato un tramite importante: ha diffuso la lezione di Raffaello in Umbria a metà del Cinquecento. Con il mio lavoro sto tentando di ricostruire il suo catalogo.

Chi legge non potrà vedere i tuoi occhi affascinati.

Come non restare affascinati? Lo storico dell’arte è un investigatore che raccoglie tutte le prove possibili, tutti i documenti possibili riferibili ad un artista. Si va a caccia di fonti documentarie, lettere e scritti, anche se l’opera rimane sempre il documento principale, la prova regina dell’indagine! Di Gherardi abbiamo la vita di Vasari e un discreto numero di disegni, ma può sempre saltare fuori qualcosa che ci permetta di attribuirgli una nuova opera.

Come si procede nell’indagine?

Si viaggia, gli occhi devono “masticare” tante opere per riconoscere gli stili. Educare lo sguardo alla lettura delle opere richiede una buona dose di spirito critico, di immergersi nel contesto dell’artista, conoscere i suoi modelli e capire ciò che stilisticamente poteva o non poteva fare. Si segue l’esempio dei grandi conoscitori e pian piano si comincia a capire un artista. Senza le “intuizioni investigative” di Longhi, senza il suo viaggio attraverso le città che conservano la sua grandiosa eredità, non sapremmo quasi nulla di Piero della Francesca. Il saggio uscito per la prima volta nel 1927, fiuta il genio del maestro di Sansepolcro cambiando le sorti della critica d’arte.

Qual è il contesto del tuo autore?

La mia rotta è tra Firenze e Città di Castello.

Come si allena – per citare una tua espressione – lo sguardo?

I docenti, durante il corso, organizzano viaggi di istruzione, momenti molto formativi. Per due ragioni: si è accompagnati a scoprire l’arte dal proprio professore e si crea un clima di condivisione e dibattito tra docenti e studenti.

Una mostra, un viaggio, una visita che ricordi?

La visita alla Fondazione Zeri, un luogo che insegna tanto dal punto di vista metodologico. La fototeca è uno straordinario archivio di immagini in bianco e nero che raccontano un’epoca della storia dell’arte senza motori di ricerca da consultare, retta dal solo supporto della fotografia. Diceva Berenson: Photographs, photographs, in our work one can never have enough. Nella storia dell’arte vince chi ha più immagini, più dettagli. Tornando alla domanda, perfezionando la risposta, forse l’ultimo viaggio di istruzione è stato quello più significativo.

Direzione?

Palazzo Strozzi, per la mostra Verrocchio, il maestro di Leonardo. Uno dei curatori ci ha accompagnato all’interno di un percorso perfettamente aderente alle lezioni che stavamo seguendo in aula. Questo ti permette di comprendere le scelte museografiche, di allestimento, ti aiuta ad acquisire strumenti critici per distinguere le mostre blockbuster dalle vere mostre d’arte.

Quale insegnamento hai ricevuto dalle esperienze fatte in questo anno di Università?

Sintetizzo: ho capito quanto sia indispensabile il pensiero critico, la valutazione dell’offerta culturale. In Italia, dove si parla poco d’arte e, quando lo si fa, lo si fa senza conoscenza, essere consapevoli significa non soffermarsi in cose che non meritano il nostro tempo. Chi non perde tempo guadagna vita.

Come si inserisce un curriculum simile al tuo nel mercato del lavoro?

Il corso di laurea in Storia dell’Arte ti prepara alla ricerca, al mestiere di storico dell’arte in senso classico. Grazie a programmi come Legislazione dei beni culturali puoi anche guardare alla PA o alle soprintendenze. Fissare l’obiettivo dell’insegnamento è forse la prospettiva più fisiologica, ma si può anche aspirare alla curatela e all’organizzazione di mostre. Il programma di Storia dell’arte e dei musei è ben piantato sulle questioni che la vita di un museo pone.

Tu che obiettivi hai?

Al momento voglio tentare la strada del dottorato di ricerca. Più a lungo termine il mio sogno è l’insegnamento.

Esperienze extra?

Ho frequentato la summer school Barocco Mediterraneo e sono stato rappresentante degli studenti nel Consiglio della Scuola e in Commissione paritetica.

Oltre all’arte che cosa ci metti nella lista delle tue passioni?

Il cinema, che ha un grosso debito con la pittura, la scultura e l’architettura. Amo sfogliare cataloghi: vedere e rivedere immagini significa acquisire un repertorio stilistico e figurativo importante per l’attribuzione delle opere.

Avevamo detto oltre all’arte, ma siamo rimasti nel suo solco.

Non ci posso fare nulla, è così, l’arte mi appassiona!

Se fossi ministro dei beni culturali che cosa scriveresti in agenda?

Più concorsi! Alle soprintendenze e ai musei serve uno sguardo giovane. Un’istituzione che non faccia comunicazione sui social è un organismo morto. Aggiungerei subito sotto più ore di storia dell’arte nei licei e nelle scuole superiori. L’identità prima di essere difesa va conosciuta e capita. In Italia fare questo mestiere è una fortuna e una sfida. C’è molta arte, ma questa ricchezza nasconde il rischio della presunzione: chiunque pensa di capirne. In realtà occorre molta professionalità.

Qual è l’artista degli artisti?

Raffaello. Siamo a Urbino, non potrei rispondere diversamente. Le Stanze Vaticane sono un’enciclopedia figurativa da cui hanno attinto tutti instancabilmente.

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