Com’è la Terza missione vista da fuori? Quale considerazione c’è del rapporto (presente e futuro) tra impresa e Università? Abbiamo girato queste e altre domande ad Amedea Salvi, presidente di Confapi Pesaro e Urbino, la Confederazione italiana della piccola e media industria. Siamo partiti dagli aspetti più delicati: qual è – questo il primo interrogativo – e qual è stato il legame tra università e aziende?
In passato lo scollamento è stato forte – spiega – il mondo della produzione e quello accademico hanno dialogato poco. Ora però si stanno facendo grossi passi in avanti. Una delle conseguenze di questa distanza sta nella scarsa conoscenza del territorio.
Che cosa intende dire?
Un’area geografica come la nostra non è soltanto arte e cultura. Del territorio occorre conoscere ogni aspetto della vita sociale. Spesso si parla di eccellenze… bene, queste sono anche l’impresa: la meccanica, l’artigianato, il tessile…
Come si può risolvere questo deficit della conoscenza?
La ricetta è semplice, ma non scontata: avvicinando i giovani alle aziende, facendoli incontrare con i processi
produttivi. Spesso gli imprenditori credono che a un ragazzo che va inserito in un percorso aziendale basti avere un tutor, cioè qualcuno che possa fornirgli informazioni sulla mansione che andrà a ricoprire.
Non è così?
No, l’inserimento è progressivo, è la comprensione di una serie di processi aziendali in cui si innesta il lavoro di ciascuno. La segmentazione in questo modo viene sostituita dalla finalità dell’azione che si è chiamati a svolgere. Questa è ciò che si chiama crescita circolare. A grandi linee, il nuovo addetto deve conoscere per prima cosa la mission dell’azienda, il che significa introdurlo all’idea che ogni ruolo, dunque anche il suo, è parte o anello di una catena, che non è meramente produttiva, ma è una parte collegata a tante altre; l’insieme di tutti i ruoli, prodotti o servizi è l’azienda che si presenta ai mercati con una precisa immagine e identità.
Un imprenditore che cosa può aspettarsi dalle attività di Terza missione?
Ciò che può derivarne è una formazione attenta ai cambiamenti economici e alle implicazioni che questi hanno sul territorio. L’università ha i contenuti e il metodo, può aiutare l’impresa ad approfondire i bisogni (ricordo un’indagine di mercato svolta dalla Carlo Bo proprio su commissione di Confapi e altri). Infine rappresenta un facilitatore del dialogo diretto con gli studenti. Più in generale credo che dalla rete privato/istituzioni possano arrivare molte soluzioni.
Ci sono attività specifiche a cui pensa?
Sì, in Veneto si organizzano domeniche (Open factory) per scoprire da vicino le fabbriche. Sono iniziative utili che tuttavia da noi riscuoterebbero soltanto ironia.
Visto che ha parlato di contenuti e metodo, su quale fronte gli imprenditori hanno bisogno di maggiori (e più qualificati) input?
È necessario rafforzare le attività di e-business ed e-commerce. Solo il 34% delle aziende possiede un sito internet e tutti conosciamo l’incidenza altissima di un portale aziendale sul volume d’affari. Il nostro territorio soffre senza dubbio di digital divide ma a questo si aggiunge una scarsa fiducia negli strumenti informatici.
Se dovesse individuare il maggior ostacolo all’imprenditorialità nel nostro territorio che cosa direbbe?
L’individualismo, che è ritenuta una forma di difesa del know-how. La rete d’impresa è ancora molto lontana dai risultati che potrebbe portare. La difficoltà maggiore è quella di rimanere nel proprio ruolo perché non si riescono a percepire i vantaggi del “fare squadra”. A tutt’oggi è poco chiaro il potenziale moltiplicatore della rete. Se 10 aziende decidono di lavorare insieme, essendosi scelte per filiera o per complementarietà, ciascuna potrà spendere la competenza delle altre nei diversi ambiti lavorativi, ovvero potrà proporre non solo se stessa, ma anche la capacità dei diversi componenti della rete, acquistando così maggiore rilevanza e forza contrattuale, sia in termini tecnologici sia in termini di completezza del servizio.
Dove ci sono stati i maggiori cambiamenti?
Se stiamo alle piccole imprese ci si è concentrati sullo sviluppo di elevate tecnologie. Si è compreso che nei grandi quantitativi non era possibile competere con Paesi come la Cina o l’India. Perciò le ristrutturazioni aziendali si sono orientate alla qualità. Diciamo che la “grande produzione” è stata rimpiazzata, nella maggior parte dei casi, dal valore tecnologico degli articoli. Tale fenomeno sta avendo ripercussioni sull’offerta di lavoro, un aspetto che chiama in causa le università.
Come?
Avendo bisogno le aziende di lavoratori specializzati, occorre che queste figure siano presenti nei percorsi formativi. Una volta che questi ultimi arrivano a conclusione, serve un’azione di content marketing che si inserisca tra l’offerta e la domanda di occupazione. In estrema sintesi ciò significa avvicinare i due poli: il mondo della scuola e dell’università al mercato del lavoro. Inizialmente questo rapporto di scambio può avvenire semplicemente attraverso la comunicazione delle iniziative promosse dall’Ateneo.
Qual è la sua definizione di Terza Missione?
La Terza missione è la valorizzazione economica, ma non solo, della conoscenza. È l’applicazione diretta del sapere che può grandemente contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese. La Terza missione penso vada costruita come interazione con la società, diventando in tal modo un segmento ulteriore che completa le missioni tradizionali dell’Università. Da una più stretta collaborazione tra Ateneo e comparto economico si potrà giungere a una più utile e rapida trasformazione della conoscenza prodotta dalla ricerca in conoscenza utile ai fini produttivi: l’intero sistema economico ha un costante bisogno di conoscenza avanzata. Si tratta di ricercare nuove vie per diffondere il sapere e parlare congiuntamente a società e aziende. L’ industria e il sistema economico, per parte loro, debbono diventare partner attivi e considerare l’Università un riferimento di valore al quale rivolgersi per progetti di ricerca e sviluppo. Io credo che professori e studenti possano avere un ruolo di sostegno dei team aziendali; ad esempio nella fase di progettazione, perché è là che possono apportare il massimo contributo di conoscenza. D’altra parte ritengo che solo con la diffusione della cultura avremo quella crescita costante del Paese che da tanto ricerchiamo e che non siamo ancora riusciti a perseguire.
Amedea Salvi è al suo secondo mandato da presidente di Confapi Pesaro e Urbino. È componente di Giunta della Camera di Commercio di Pesaro Urbino ed ha fatto parte della Giunta di Presidenza di Confapi nazionale.