Il concetto di emergenza richiama l’insufficienza della nostra conoscenza del mondo e della natura. C’è qualcosa che emerge, che sopravanza la misura che sappiamo dare ai fenomeni. “L’emergenza – scrive Erica Onnis in una recente pubblicazione – introduce nella realtà caratteristiche (relativamente o fondamentalmente) nuove e richiede nuovi schemi concettuali per essere analizzata”. Proprio per questo, soprattutto per aiutare chi è più vicino al nucleo dell’emergenza (la prima linea) occorrono strumenti psicologici a supporto. Ne abbiamo parlato con la professoressa Daniela Pajardi, docente di Psicologia sociale all’Università di Urbino.

Il tema dell’emergenza ha molto a che fare con la psicologia. Tra l’altro l’Università di Urbino, in collaborazione con l’Aeronautica Militare, ha attivato un Master sulla gestione del post-incidente aereo.

Daniela Pajardi

La psicologia dell’emergenza fa riferimento a due filoni: la psicologia sociale e la psicologia clinica. Nel primo caso si occupa delle problematiche sociali dovute a situazioni estreme, della gestione delle emozioni, della paura, dell’altruismo, delle dinamiche di conflitto tra gruppi. Nel secondo studia invece le conseguenze patologiche e cronicizzate e i traumi derivanti dal verificarsi di eventi eccezionali. Il master proposto è legato a un progetto più ampio di collaborazione e ricerca tra Dipartimento di Studi Umanistici e Aeronautica Militare che porto avanti con la dottoressa Monia Vagni. Si focalizza proprio su temi che sono di estrema attualità in questa epidemia, ossia la valutazione dello stress nei soccorritori e nel personale coinvolto in attività di emergenza e l’elaborazione di strategie per affrontarlo e superarlo.

La crisi che stiamo attraversando come può rientrare nei programmi di studio dei suoi studenti?

Con gli iscritti al primo anno della triennale di Scienze e Tecniche Psicologiche, grazie alle lezioni in modalità e-learning, ho impostato un lavoro di gruppo che è stato accolto con molto interesse e partecipazione. Ho selezionato alcuni capitoli del manuale di psicologia sociale per approfondire il tema delle reazioni individuali e sociali all’epidemia. Sono sette gli argomenti su cui stanno lavorando gli oltre 100 studenti coinvolti e organizzati in gruppi. Tra questi: il pregiudizio, ad esempio verso i cinesi all’inizio del contagio e poi verso gli italiani; la comunicazione persuasiva dei vari messaggi volti a far cambiare i nostri atteggiamenti e comportamenti; l’aggressività, che si è manifestata in diversi episodi; il comportamento prosociale e l’altruismo, sia nelle professioni di aiuto coinvolte che nei volontari, anche con rischi personali molto elevati; l’identità sociale dei gruppi e l’identità nazionale, che si è accentuata in questa situazione. Tutti questi argomenti attengono all’attualità di queste settimane.

Come è organizzato il lavoro?

Ho sollecitato gli studenti a creare dei gruppi, coinvolgendo anche studenti del loro corso che non conoscevano, e a scegliere un argomento. Su quello dovranno raccogliere articoli di giornale, interviste, videoclip, comunicazioni, vignette: qualunque cosa possa aiutarli nell’analisi. L’obiettivo è non fermarsi alla cronaca di quel che accade, ma leggere la realtà da un punto di vista scientifico, partendo dalle cognizioni teoriche che si stanno acquisendo. Alcuni di loro potranno indagare, nel caso per esempio dei comportamenti prosociali, anche il comportamento di parenti e familiari, medici o infermieri, impegnati nell’affrontare l’emergenza sanitaria. Si tratta di un modo per aiutare gli studenti a realizzare un confronto critico su contenuti didattici e sulla realtà che stiamo vivendo, ma è anche uno stimolo a svolgere insieme un lavoro di confronto, a mantenere relazioni di gruppo e a crearne di nuove in un momento in cui non possono farlo di persona. Ho anche messo a loro disposizione il materiale che in questi giorni il Consiglio Nazionale Ordine Psicologi (CNOP) sta pubblicando. Questo materiale viene presentato da diversi docenti sia agli altri anni di corso della triennale che al corso di laurea magistrale in Psicologia Clinica.

Qual è il materiale fornito dal CNOP?

Comunicazioni sui servizi che si stanno attivando sul territorio nazionale, nella consapevolezza che l’emergenza sanitaria sarà sempre di più emergenza psicologica. Il Consiglio, che sta coadiuvando la Protezione Civile, i Servizi Sanitari pubblici e i diversi ambiti in cui la professione opera, ha messo a disposizione una rete di psicologi, in tutte le Regioni, per effettuare interventi online e ha distribuito un vademecum psicologico per i cittadini con consigli utili a controllare emozioni e comportamenti. Il Ministero della Salute ha raccolto questa iniziativa del CNOP, insieme a quelle della Società Psicoanalitica Italiana e della Croce Rossa, nel proprio portale.

Storicamente quando nasce in Italia questo particolare settore della psicologia?

Diverse situazioni hanno dato inizio in Italia a un filone di attività svolte da professionisti e associazioni nell’ambito della psicologia delle emergenze: dai terremoti in Umbria e nelle Marche del 1997, al disastro aereo di Linate del 2001, ai successivi terremoti de L’Aquila e, più recentemente, dell’Umbria, delle Marche, dell’Emilia-Romagna e del Lazio. Fin da subito è stato chiaro che senza una preparazione adeguata, senza metodologie specifiche e in mancanza di strumenti di supporto adeguati a intervenire, non solo sulle vittime e i familiari, ma anche sui soccorritori per i quali dovrebbero essere messi in atto protocolli per la gestione delle emozioni e dello stress, gli psicologi rischiano di essere a loro volta investiti da uno tsunami emotivo.

Gli anni di esperienza in questa disciplina non sono tantissimi, purtroppo però sono stati segnati da eventi molto significativi.

Negli ultimi anni il terremoto delle Marche è stato senz’altro un evento rilevante. Diverse associazioni di professionisti si sono attivate con iniziative in favore della popolazione, concentrandosi in particolare sull’impatto emotivo nei bambini e sulla gestione delle sindromi post-traumatiche. Il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Urbino ha promosso un ciclo di incontri, MotusLoci – Dialoghi interdisciplinari sui movimenti di psiche e terra, per riflettere sul tema, docenti e studenti, con l’aiuto di esperti. Ne è emerso un monito chiaro: non ci si improvvisa psicologi dell’emergenza, servono professionalità qualificate che abbiano padronanza dei protocolli e degli strumenti e che siano in possesso di una formazione che li metta in grado di gestire le emozioni delle persone alle quale si offre un supporto e le proprie.

L’evento che stiamo vivendo ha caratteristiche singolari?

Il primo dato è che la pandemia è un fenomeno su scala mondiale. Non solo, in questo caso non è circoscrivibile ad alcune categorie, ma riguarda tutti e distanzia socialmente le persone fino a dividere i nuclei familiari. Quella che è stata definita infodemia, l’eccesso di informazione, ha inoltre accentuato il panico e l’allarme sociale, specie quando porta messaggi e informazioni contraddittorie che le persone non sempre riescono a selezionare e a gestire correttamente, dando seguito a comportamenti impulsivi o non adeguati.

Quali sono i piccoli accorgimenti che l’Ordine degli Psicologi consiglia di avere per limitare gli effetti negativi sulla nostra vita?

Uno dei punti suggeriti dal vademecum psicologico del CNOP riguarda proprio la gestione delle eccessive informazioni: “una volta acquisite le informazioni di base, è sufficiente verificare gli aggiornamenti su fonti affidabili. Si hanno così tutte le informazioni necessarie per proteggersi, senza farsi sommergere da un flusso ininterrotto di ‘allarmi ansiogeni’.” Il vademecum offre anche diverse indicazioni sulla gestione della paura e del panico, sottolineando come sia una emozione comune in questa situazione e come ci si debba proteggere in modo adeguato, ma anche coerente al pericolo oggettivo. Abbiamo assistito a comportamenti istintivi eccessivi e incongruenti (l’assalto ai supermercati) che alimentano ulteriormente il panico. Questi non hanno coerenza con l’epidemia e con un rischio oggettivo di approvvigionamento, costituiscono invece una maggiore probabilità di contagio. “La regola fondamentale – si legge nel documento – è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo”.

 

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