Se l’intelligenza è la capacità di leggere tra le righe questo è un progetto intelligente, in senso letterale. Perché Textus invisibilis, questo il nome, rovista nelle biblioteche, in particolare nei fondi antichi, per recuperare ciò che la storia ha nascosto, ciò che i libri non dicono (o dicono appunto tra un rigo e l’altro), che le pagine sussurrano in filigrana e i dorsi occultano. Alessandra Molinari, ricercatrice di Filologia germanica dell’Università di Urbino, fra le righe ci si è trovata qualche anno fa mentre era concentrata sul suo corso di paleografia. Era talmente interessante la scoperta che ha coinvolto i suoi studenti, strutturato un gruppo di lavoro e avviato una collaborazione.
Textus invisibilis che cos’è?
È un progetto di ricerca e di formazione professionale rivolto anche agli studenti e nato nel 2010 con il sostegno dell’Archivio di Stato di Pesaro. Ha l’obiettivo di valorizzare i frammenti di manoscritti medievali reimpiegati come materiale di rinforzo nelle legature dei volumi a stampa dell’età moderna, nei registri e nei volumi notarili di quel periodo. La nostra attività consiste nel censire le migliaia di frammenti che stiamo ritrovando negli archivi e nelle biblioteche delle Marche, studiarli, catalogarli e renderli accessibili alla collettività tramite un database (in via di costruzione) che conterrà anche le immagini restaurate digitalmente dei frammenti e ricongiunte a formare gli antichi codici. Nel progetto studiamo e cataloghiamo inoltre le varie tecniche di reimpiego di tali frammenti nelle legature. Nel 2014, durante un workshop dedicato al Programma Operativo Regionale a sostegno del patrimonio culturale delle Marche (FESR 2014-2020) dove, assieme al professor Alberto Carini, esposi i nostri lavori sui frammenti dell’Archivio di Stato di Pesaro e Urbino, erano presenti alcuni funzionari dell’Unione Montana del Catria e del Nerone che si interessarono al nostro progetto. Ne nacque l’idea di individuare un bando, un avviso indirizzato alle piccole biblioteche del territorio della provincia. Nel 2019 abbiamo ottenuto il primo finanziamento dal Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. L’Unione Montana si è inserita come ente capofila per questa tranche. I primi fondi su cui abbiamo lavorato sono quello del Monastero di Fonte Avellana e quello dell’Archivio di Stato di Pesaro, sezione di Urbino.
Com’è nata l’idea?
Nel 2009, mentro ero impegnata nello studio di scritture antiche, un modulo che rientra nel mio insegnamento, coinvolsi gli studenti mettendomi alla ricerca di testi negli archivi, di manoscritti utili alle esercitazioni di paleografia, alla lettura e alla comprensione.
E?
E nell’Archivio di Stato di Urbino, avendo chiesto testi medievali in lingua tedesca e inglese, mi sono ritrovata fra le mani interi faldoni di pergamena ritagliati da antichi codici. Ho avuto inoltre accesso a tre depositi di volumi e registri di varie istituzioni urbinati del Cinque-Settecento, i quali riportano, sopra o dentro alle legature, frammenti pergamenacei medievali riutilizzati appunto come materiale di rinforzo.
In che cosa consiste la scoperta?
Consiste proprio nell’essere venuta a conoscenza di una modalità di utilizzo delle pergamene manoscritte a tutt’oggi poco studiata. Con l’avvento della stampa i testi manoscritti vennero svalutati perché giudicati inaffidabili mentre il supporto, la pergamena, acquisì un posto di primo piano per via della sua resistenza. Si trattava di un’età preindustriale e pre-consumistica, nulla si buttava via. Questa pratica sostenibile di riciclo si affermò tra i rilegatori di tutta Europa, dal Mediterraneo alla Scandinavia. Trovatami di fronte ai volumi archivistici del 1500 e del 1600 e ai frammenti di manoscritti, cominciai a interessarmi alle pergamene come oggetto storico. Chiesi allora di poter fare le mie esercitazioni con gli studenti di paleografia, per poi coinvolgerli nelle varie fasi del progetto di recupero e ricostruzione. I ragazzi ne furono da subito ammaliati.
Conosceva già questa pratica di riciclo?
No, non la conoscevo, ma ho immediatamente pensato di rendere leggibili i ritagli attraverso un restauro digitale, non invasivo, e di riunirli ricongiungendone le immagini digitalmente acquisite per restituire loro il senso che avevano prima dello smembramento, proprio come in un grande puzzle.
A che punto è il progetto?
Stiamo lavorando ad una prima fase ricognitiva. Abbiamo creato un grande arcipelago di frammenti, sono a migliaia. Abbiamo perlustrato i fondi dell’Archivio di Stato di Urbino, la biblioteca del Sacro Eremo di Fonte Avellana, la Biblioteca Ludovisiana di Cantiano, ora ci stiamo rivolgendo al Fondo antico della Biblioteca Umanistica della nostra Università. Si tratta di migliaia di reperti mai studiati che, nel caso dei testi in lingua ebraica, abbiamo affidato ai nostri partners francesi del progetto Books within books, e una decina di frammenti musicali già oggetto di studio circa dieci anni fa. Per ricostruire le lacune testuali utilizzeremo il deep learning. Stiamo inoltre costruendo un database con schede catalografiche per ogni singolo frammento che saranno accessibili al pubblico grazie ad una piattaforma online. Ciascuna scheda riporterà la descrizione fisica, il luogo di conservazione, la modalità di riuso del reperto nella legatura del volume in cui si trova, l’eventuale legame storico tra il possessore del libro e la pergamena riutilizzata, nonché l’identificazione del testo contenuto nel frammento stesso e dell’autore. E ovviamente la foto del frammento, singolarmente e come “tessera del puzzle”, del codice originario da cui il frammento proviene.
È una ricerca che, presumibilmente, ha davanti a sé molto materiale di studio.
Per dare soltanto un’idea di massima il sistema bibliotecario dell’Unione Montana ha almeno altri due fondi antichi con circa 4 mila frammenti.
Quali sono le tecnologie che impiegherete per ricostruire i testi lacunosi?
Useremo i raggi x per rintracciare e digitalizzare i frammenti di codice che si trovano all’interno dei dorsi o tra i fogli dei volumi. Al momento tuttavia stiamo lavorando alle parti esterne utilizzando la tecnica della fluorescenza indotta, secondo un metodo innovativo sviluppato da Uniurb che ci restituisce non solo il testo nei suoi caratteri integri, ma anche il colore dell’inchiostro e della pergamena stessa.
Che differenza c’è fra raggi x e fluorescenza indotta?
I raggi x permettono di vedere l’inchiostro anche laddove è quasi inesistente. La fluorescenza indotta ricostruisce i tratti mancanti all’interno dei caratteri. In entrambi i casi si tratta di un lavoro che richiede all’incirca sei giorni per ogni frammento.
Poco fa ha parlato di prima fase del progetto. Ciò significa che ne esiste almeno una seconda.
Proprio così. Nella seconda fase Textus invisibilis si avvarrà della collaborazione di esperti dell’Università Carlo III di Madrid, della Sorbona di Parigi e di un centro di ricerca svizzero. Questi prestigiosi atenei ci aiuteranno a interpretare le parti in lingua ebraica e a definire meglio i cosiddetti metadata standard alla base delle singole schede catalografiche, per elaborare un’architettura del database che lo renda interoperabile con le reti archivistiche e bibliotecarie italiane e internazionali, nonché con database già affermati nel campo, come Manus online, Fragmentarium e il norvegese Virtual Manuscripts.
L’utilizzo di frammenti per la rilegatura dei volumi è una pratica che si è standardizzata nel tempo?
I frammenti che abbiamo trovato nei fondi dell’Unione Montana utilizzano tecniche di riciclo diverse da quelle riscontrate a Fonte Avellana e in parte anche da quelle dell’Archivio di Stato di Urbino. Evidentemente ci sono dietro delle maestranze diverse. Di solito i volumi conservati nelle amministrazioni pubbliche provenienti dalle corporazioni notarili, presentano tecniche di rilegatura non sempre uniformi. I monaci di Fonte Avellana per lo più applicavano internamente fasci di pergamena perpendicolari ai dorsi.
Lo studio dei frammenti presenti nelle rilegature è una disciplina vera e propria?
Sì, si chiama frammentologia, nome coniato di recente, anche se dibattuto, a seconda dell’orientamento teorico degli studiosi. Spesso si parla anche di filologia del frammento, con un’accezione più prettamente testuale e meno olistica.
Dal recupero dei ritagli di pergamena sono già emerse notizie e informazioni prima sconosciute?
I frammenti provenienti dalle legature dei volumi del tribunale di Urbino forniscono documenti sulla storia medievale della città, un periodo ancora trascurato dalla storiografia. Abbiamo trovato fonti primarie inedite, atti giudiziari da cui si comprende che esisteva già una coscienza delle nascenti istituzioni pubbliche e della città, un fatto molto rilevante per l’epoca.
Il ruolo degli studenti, come prima ha accennato, non si limita alle esercitazioni paleografiche.
L’idea è di impostare tesi di laurea sull’argomento, ne abbiamo due in cantiere, altre sono già concluse. Sto coinvolgendo alcuni allievi in diverse attività finalizzate alla compilazione delle schede catalografiche e anche in altri aspetti del progetto, come ad esempio la creazione, attualmente in corso, del nostro sito web e del logo di Textus Invisibilis. La maggior parte di queste attività viene riconosciuta come tirocinio. Questo permetterebbe oltretutto di editare molti più testi conservati nei frammenti. Ci sono tanti aspetti o figure che meritano di venire alla luce.
Per esempio?
Penso a Ranbertus de Suglano, che abbiamo identificato essere, probabilmente, Ramberto II Malatesta conte di Sogliano, scelto nella prima metà del Trecento dal populus urbinate, ossia da quella parte di cittadini non dediti alla militia. Il capitano del popolo era la figura istituzionale di rappresentanza nel governo della città; per legge non doveva essere del luogo. Penso alla provenienza delle pergamene usate per il riciclo, altro aspetto che sarebbe interessante approfondire. Era materiale che aveva un grande smercio, che viaggiava intrecciando molte vicende. Ricostruire l’intero documento è un lavoro che coinvolge studiosi di tutto il mondo. Con la digitalizzazione è più facile rimettere insieme i pezzi. Vorrei sottolineare ancora una cosa sul coinvolgimento dei ragazzi…
Bene.
Gli studenti si occupano anche di research design, che guida il progetto nella sua interezza: le loro domande sui frammenti, prodotto di menti fresche, curiose, non precondizionate dagli steccati delle discipline, mi hanno aiutata a ridefinire alcuni aspetti dell’approccio epistemologico ai frammenti stessi. Di conseguenza a ripensare alcune finalità fondamentali del database, per aprirlo a utilizzi da parte di utenti non accademici. I ragazzi vengono pertanto coinvolti, tramite tirocini, nella progettazione. Accade lo stesso per il sito web divulgativo dei nostri lavori, che sarà online da maggio 2021.
Chi sono gli studiosi e i tecnici impegnati in Textus Invisibilis?
Nel nostro gruppo di lavoro ci sono Nicoletta Biondi, archivista e paleografa freelance, Monica Bocchetta, biblioteconoma e docente di storia del libro dell’Università di Macerata, Emma Abate, referente per il progetto francese Books within books, Ermindo Lanfrancotti dell’Università di Urbino, co-inventore insieme ad Alberto Carini del metodo a fluorescenza per la leggibilità dei testi e Annamaria Amura, PhD candidate Uniurb in Informatica applicata, che ci sta aiutando nella diagnostica dei reperti, nella digitalizzazione e nella creazione del database. Per l’edizione digitale dei testi, ci avvaliamo della collaborazione di Roberto Rosselli del Turco dell’Università di Torino, creatore del software di visualizzazione EVT, di Katrin Janz-Wenig della Staats-und Universitätsbibliothek di Amburgo, di Elisabeth Meyer dell’Università di Amsterdam e di Alessandra Corbo del MiBact. Marcella Peruzzi, responsabile del Servizio Bibliotecario di Ateneo, supervisiona l’ancoraggio del database nella piattaforma digitale della nostra Università. Collaborano anche Diego Navarro Bonilla, paleografo, archivista e calligrafo di Madrid, Federico Marcucci, responsabile del Fondo antico dell’Università di Urbino e altre professionalità provenienti dall’Archivio di Stato, come la nuova coordinatrice Sara Cambrini. Per una parte del progetto a me particolarmente cara, consistente in una serie di attività didattiche per lo sviluppo delle competenze della scrittura a mano moderna a partire dalle grafie antiche riscontrate nei frammenti, nella primavera 2020 abbiamo condotto un workshop di sperimentazione con i miei studenti assieme ad Andrea Gasparini dell’Università di Oslo, dai cui risultati partiremo per delle attività di inclusione sociale. Concludo citando una persona fondamentale per la partnership con l’Unione Montana Catria e Nerone: Francesco Amadori, Istruttore Direttivo Archivista.
Una volta che l’arcipelago di frammenti sarà ricomposto?
Textus Invisibilis dà voce a chi per secoli non ne ha più avuta, ricostruisce la trama del tessuto umano e sociale del territorio. In un verbale del 1500 abbiamo ritrovato la trascrizione di una deposizione. Sembra di essere lì, con l’accusatore che grida, senza censure: è una storia che rivive.